5.A.2.5

 

Adria

Libertà di coscienza e di religione – vicende internazionali

 

In età moderna furono senza dubbio decisivi i contributi di pensatori come Roger Williams (1603-1683) e John Locke (1632-1704): essi incominciarono a diffondere l’idea secondo la quale chi stabilisce che solo la propria religione è quella vera e nega con ciò uguale libertà alle altre religioni, ferisce gravemente la “capacità esterna” della coscienza individuale.

Per capacità esterna essi intendevano lo spazio privato e pubblico entro il quale trova espressione la libertà di religione. Secondo Locke, per difendere la libertà religiosa occorrono due cose: 1) leggi che non prevedano alcun tipo di pena per le varie credenze e pratiche religiose; 2) leggi che prevedano le stesse condizioni per tutti i cittadini-sudditi in materia di religione.

Tra il XVIII e il XIX secolo la tradizione della libertà di coscienza sviluppò una posizione marcatamente contraria al  riconoscimento di una religione di stato; non solo, ma uno dei più vivaci rappresentanti di tale tradizione, James Madison, nel 1785,  si espresse contro la proposta di una tassa sul culto che avrebbe avvantaggiato la chiesa anglicana rispetto alle altre nello stato della Virginia.

Nel corso del secolo XX, in Occidente, si sono consolidate varie situazioni nei rapporti stato-chiesa: in alcuni casi si è assegnato di fatto e di diritto un privilegio alla religione praticata dalla maggioranza, in altri casi lo Stato si è progressivamente spostato verso una posizione di indifferenza rispetto a tutte le religioni praticate all’interno del suo territorio. Negli ultimi decenni l’appartenenza a una qualsiasi religione è stata indicata, nelle leggi degli stati, come elemento di non discriminazione e la stessa posizione atea è stata fatta rientrare tra le possibili opzioni derivanti dalla libertà di coscienza.

 

 

Dalla relazione di Bob van den Bos

sui diritti umani nel mondo nel 2002

 

“La libertà di religione, detta anche “libertà religiosa”, è sancita da una serie di

convenzioni internazionali sottoscritte dopo la guerra. Nella dichiarazione universale dei

diritti dell’uomo del 1948 essa è definita come “diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e

di religione” e tale diritto “include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di

manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o

il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti”. Ciò

implica anche il diritto di non riconoscersi in alcuna religione.

Questo diritto umano fondamentale è di vitale importanza per più del 90% della popolazione

mondiale, che è considerata, a vario titolo, credente. È nell’interesse di tutte le religioni, di

tutte le società e di tutte le culture che tali diritti possano essere esercitati liberamente.

Anche se la maggior parte delle nazioni ha sottoscritto le convenzioni internazionali in

materia, queste spesso restano lettera morta e la loro validità universale è quindi messa a

repentaglio. (…)

La libertà di religione e di culto non è solo della massima importanza per

l’essere umano, quale base per la comprensione di sé e per l’identità, ma anche per la società

nel suo complesso. La violazione della libertà religiosa solitamente produce forti tensioni

nella società, che possono facilmente portare a (violenti) scontri. Dall’altra parte, il rispetto

della libertà religiosa consente l’esercizio della critica all’interno delle comunità religiose

sulla compatibilità delle loro convinzioni ed usi religiosi con gli altri diritti umani. In tal

modo, l’espressione violenta dell’estremismo religioso può effettivamente essere contrastata

dall’interno di un gruppo religioso.”