ANALISI DEL
TESTO STORIOGRAFICO
A Introduzione
critica all’eventuale autore e al testo
Cesare Beccaria fu un famoso letterato, filosofo, giurista ed economista italiano, legato agli ambienti illuministi milanesi. Beccaria fece parte del circolo d’intellettuali dei fratelli Pietro ed Alessandro Verri e collaborò alla rivista “Il Caffé”. L' adesione alle idee degli illuministi francesi, da Montesquieu a Diderot a Rousseau, e la collaborazione intensa con i fratelli Verri lo stimolarono nella pubblicazione nel 1764 del suo capolavoro “Dei delitti e delle pene”, breve scritto che ebbe enorme fortuna in tutta Europa ed in particolare in Francia, dove incontrò l'apprezzamento entusiastico di Voltaire e dei filosofi dell'Enciclopedia. Fu apprezzata inoltre nella Milano illuminista e messa subito in pratica dalla zarina Caterina II di Russia. Sull'onda del successo di questa proposta di riforma giudiziaria, la pena di morte fu abolita per la prima volta nel Granducato di Toscana. Ma molte furono anche le reazioni di condanna soprattutto da parte della Chiesa cattolica, che nel 1766 inserì l'opera nell’Indice dei libri proibiti.
Partendo dalla teoria contrattualistica, che sostanzialmente fonda la società su un contratto teso a salvaguardare i diritti degli individui, garantendo l'ordine, Beccaria definì il delitto come una violazione del contratto. La società nel suo complesso godeva pertanto di un diritto d’autodifesa, da esercitare in misura proporzionata al delitto commesso (principio del proporzionalismo della pena) e secondo il principio contrattualistico per cui nessun uomo può disporre della vita di un altro. Beccaria sosteneva quindi l'abolizione della morte, poiché essa non era un’efficace deterrente contro i crimini. Occorrerebbero invece pene certe ed estese nel tempo.
Lo scopo dell’opera nel suo insieme é di dimostrare l’assurdità e l’infondatezza del sistema giuridico vigente. Beccaria non esita a farlo passare come un sistema puramente repressivo e rappresentato nei suoi ingiustificati rituali di violenza. Non il benessere, ma la sofferenza della maggior parte dei cittadini é infine il risultato di una struttura così irrazionale.
E’ la prima volta che contro la pena di morte sono mosse obiezioni radicali e sistematiche. Questa critica porterà ad una svolta nel senso comune.
Dal 1771 fino alla morte si dedicò alla carriera amministrativa, dando il suo apporto alla politica riformista della monarchia asburgica che regnava su Milano.
Anche Cesare Beccaria, come Pietro Verri, concepiva la cultura in termini utilitaristici, ossia quale strumento d’intervento concreto sulla realtà con il fine di migliorare le condizioni materiali di vita degli uomini: qui emerge tutto il suo spirito illuministico, il quale a sua volta riprende la concezione utilitaristica da Francesco Bacone e dal suo " sapere è potere ".
B Lettura
ripetuta e operazioni su alcuni termini
B.1
Impressione globale
Beccaria
critica aspramente i sistemi giuridici del tempo. In particolare si scaglia
contro la pena di morte, vertice d’inciviltà gestito dallo Stato.
Beccaria
riconosce la validità della pena di morte solo per quelle nazioni dal sistema
governativo precario e debole. Però nel 1700, con il progressivo rafforzarsi
degli Stati tramite l'assolutismo illuminato, la pena di morte diventa
assolutamente inutile: se lo Stato é forte, allora punirà senz'altro il
criminale, il quale, sapendo che agendo in quel modo verrà punito, non
infrangerà la legge. Egli non la infrangerà anche in assenza della pena di
morte. Secondo Beccaria occorrono pene miti , ma che vengano sempre applicate:
se la pena é minima , ma il criminale sa che dovrà scontarla, allora non
infrangerà la legge. La pena di morte diventa quindi assurda e inutile proprio
perchè lo Stato é forte, capace di punire i criminali .
Beccaria
critica anche la religione accusandola di agevolare il delinquente nelle sue
ree intenzioni, confortandolo con l'idea che un facile quanto tardivo
pentimento gli assicuri comunque la salvezza eterna.
B.2
Genere storiografico
L’opera
di Beccaria è definita essay.
B.3
Elenco dei “termini sorprendenti”
Arbitrio
(riga8); rivoluzione (riga19); intensione (riga38); iterate (riga43); stentato
(riga45); fanatismo (riga71); giogo (riga74); elasticità (riga 78); indolenti
(riga106); strascinare (riga146); apparato ( riga147); dispotismo (riga153);
paralogismi (riga158).
B.4
Ricostruzione del significato dei termini
E’
riscontrato che tutti i “termini sorprendenti” sono stati utilizzati
dall’autore per sottolineare i propri concetti: invece di essere al servizio
della giustizia, il sistema giudiziario si rivela finalizzato ad un mostruoso
meccanismo di potere e di soprusi, dietro il quale si profila l’ingiustizia che
caratterizza l’intera società che lo esprime.
Non
è certo la paura della morte a poter fermare un uomo determinato nel crimine,
poiché egli può affrontare quel breve momento con tranquillità, per fanatismo o
per vanità, o per far terminare la sua vita miserabile. Ma nessuno,
sceglierebbe la totale e perpetua perdita della libertà, per quanto vantaggioso
sia il reato.
Per
l’autore può essere lasciato l’arbitrio di uccidere un criminale, nel caso in
cui la sua stessa esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nello
Stato attuale o sia l’unico freno per distogliere gli altri da commettere
delitti.
Termini
come “ rivoluzione” e “fanatismo” sono stati utilizzati anche dal filosofo
francese Diderot nell’allocuzione “Agli insorti americani” tratta dall’opera “Potere
politico e libertà di stampa”, in cui egli appoggia con fervore i rivoluzionari
americani nella lotta per la libertà e l’autonomia. Il termine “rivoluzione”
(riferito a quella americana) ha qui un’accezione positiva: è il mezzo
appropriato per contrastare il fanatismo, che sempre è collegato alla
tirannide. Per Beccaria invece il termine “rivoluzione” è qui utilizzato come l’insieme
dei tumulti che mettono in pericolo la pace e la sicurezza di uno Stato. Per
quanto concerne il termine “fanatismo”, per entrambi ha un’accezione negativa.
In
un contesto più generale i termini indicati assumono i seguenti significati:
·
arbitrio= facoltà
d’agire secondo la propria volontà; abuso.
·
rivoluzione= moto
di un corpo celeste intorno a un altro; insurrezione, sommossa, guerra civile;
rinnovamento radicale dello Stato e della società.
·
Intensità
(intensione): l’essere intenso; grado di forza.
·
iterate=
ripetute, replicate, rinnovate.
·
stentato=
conseguito con difficoltà; forzato, innaturale; tribolato.
·
fanatismo=
assoluta esaltazione di una concezione religiosa, politica,…, nel totale
rifiuto di concezioni diverse; ammirazione cieca.
·
giogo= attrezzo
di legno che si pone sul collo dei buoi, quando vengono attaccati al carro;
tirannia; sommità di un monte che s’incurva e si distende.
·
elasticità=
proprietà di alcuni corpi di riprendere la forma originaria quando sia cessata
l’azione che li ha deformati; agilità; capacità di apprendere e coordinare.
·
indolenti= lenti,
svogliati.
·
strascinare=
trascinare per terra, tirarsi dietro, far strisciare.
·
apparato=
addobbo; apparecchiatura; complesso di organi; struttura burocratica.
·
dispotismo=
governo assoluto; autoritarismo, assolutismo.
·
paralogismi=
argomentazione vera in apparenza, ma in effetti falsa per errore logico.
C Scomposizione
C.1
Scomposizione lineare
Il
testo è stato diviso in 16 paragrafi:
1.
dalla riga 1 alla 15= La pena di morte non è un
diritto
2.
dalla riga 16 alla 29= Quando la morte di un cittadino
diventa necessaria
3.
dalla riga 30 alla 37= L’inutilità del supplizio nei
secoli
4.
dalla riga 38 alla 50= L’efficacia sugli animi
dell’estensione della pena
5.
dalla riga 51 alla 56= Pena di morte: forte impressione
ma dimenticabile
6.
dalla riga 57 alla 64= La compassione come limite al
rigore delle leggi
7.
dalla riga 65 alla 79 (fino alla parola “secondi”)= La
prospettiva di schiavitù eterna come freno ai delitti
8.
dalla riga 79 alla 85= Contraddizioni della pena di
morte
9.
dalla riga 86 alla 95= Alla vista della schiavitù
10. dalla riga 96 alla 116= Nella mente di un criminale
11. dalla riga 117 alla 124= Supplizio indurisce gli
animi, schiavitù li corregge
12. dalla riga 125 alla 144= La vita è in potestà solo
della legge naturale necessaria
13. dalla riga 145 alla 160= Paralogismi che fanno di un
uomo un criminale
14. dalla riga 161 alla 173= L’umanità è pervasa
dall’errore
15. dalla riga 174 alla 181= La forza della verità in un
governo di pace
16. dalla riga 182 alla 191= L’esigenza di cambiare
Le
parole- chiave individuate nei paragrafi sono le seguenti:
1.
diritto, trucidare, sovranità,volontà generale,
guerra, distruzione, essere.
2.
morte, necessaria, esistenza, rivoluzione, regno,
voti, riuniti, opinione, unico, freno, distogliere, delitti.
3.
sperienza, secoli, supplicio, mai, distolti, offendere.
4.
intensione, estensione, abitudine, stampano,
passeggero, spettacolo, bestia di servigio, morte, oscura lontananza.
5.
dimenticanza, passioni, rivoluzioni.
6.
pena di morte, sdegno, limite, rigore, compassione,
spettatori.
7.
totale, perpetua, perdita, libertà, rimuovere,
determinato, morte, fanatismo, vanità, sortir, mali, comincia, incessante noia.
8.
pena di morte, suppone, delitto, pena di schiavitù,
durevoli, esempi, utile, non utile, medesimo tempo.
9.
crudele, infelici, schiavitù, vita, mali,
s’ingrandiscono, immaginazione, spettatori, sostituiscono, sensibilità.
10. ragionamento,
assassino, intervallo, ricco, ingiustizia, naturale, coraggio, dolore, breve,
errori, fortuna, religione, pentimento, felicità.
11. incertezza,
delitti, brevità, goderebbe, supplicio, indurisce.
12. pena di morte,
atrocità, pubblico assassino, disprezzo, carnefice, innocente, contradizione,
vita, potestà, necessità.
13. giustizia, strascinare, misero, insensibile,
dispotismo, paralogismi, delitti, abuso, religione.
14. verità, pelago,
errori, lampo.
15. verità,
ostacoli, monarca, segreti, tutti.
16. benefici, dispotismo, soffocati, sinceri, popolo,
difficoltà, togliere, ruggine, secoli, illuminati, desiderare.
C.2
Scomposizione dello spessore
I
16 paragrafi sono stati divisi secondo la prevalenza di narrazione, o
descrizione o ricostruzione nel loro contenuto. Il testo è risultato
equilibrato nell’alternarsi dei diversi paragrafi.
Le
argomentazioni addotte da Beccaria sono pressappoco le stesse, davvero
difficili da confutare, che ancora oggi vengono ripetute contro la prosecuzione
di pene capitali.
La
critica di Beccaria mossa al sistema giudiziario é intrecciata con quella mossa
alla Chiesa : se é vietato il suicidio, come può essere legittimato l’omicidio
tramite la pena di morte ? Così inizia la critica sistematica di Beccaria
contro la pena di morte. La prima argomentazione contro la pena di morte é che
essa non é legittima. La tesi a sua volta si divide in due punti: in primo
luogo, essa offende il diritto che nasce dal contratto sociale , stipulato per
garantire la sicurezza degli individui contraenti, non per deprivarli della
vita; in secondo luogo, la pena di morte é contraria al diritto naturale
secondo il quale l'uomo non ha la facoltà di uccidere se stesso e non può
quindi conferirla ad altri. Dopo aver dimostrato che la pena di morte non é
legittima, ossia che non é un diritto, Beccaria passa alla seconda
argomentazione, per cui essa non é
necessaria: anche questa si articola su due livelli: in primis, si
dimostra che la pena di morte non é necessaria laddove regnino ordine politico
e sicurezza civile; in secondo luogo si dimostra che essa non esercita una
sufficiente funzione di dissuasione relativamente a furti e a delitti. La
dimostrazione di questa tesi é empirica: le impressioni più profonde non sono
quelle intense ma brevi (la pena di morte), bensì quelle più deboli ma di lunga
durata (il carcere). Ma se la pena di morte non é un diritto e non é un
deterrente, essa é anche inutile: lo Stato, infliggendo la pena di morte, dà un
cattivo esempio perchè infatti da un lato condanna l'omicidio e dall'altro lo
commette. Tra le tesi che egli avanza contro la pena capitale
vi è il fatto che lo Stato,
per punire un delitto, ne compierebbe uno a sua volta. Ed il diritto di questo
Stato, che altro non è che la somma dei diritti dei cittadini, non può avere
tale potere. La pena di morte diviene quindi uno spettacolo per alcuni, ed un motivo
di compassione e sdegno per
altri, che vedono l'inadeguatezza della pena.
Per
Beccaria, inoltre non è «l'intensione», ma «l'estensione» della pena ad
esercitare un ruolo preventivo dei reati. Il risultato dei suoi ragionamenti
mostra l'inutilità delle pene che venivano usate rispetto allo scopo
perseguito: una pena di grande intensità può essere presto dimenticabile, al
contrario una pena duratura impedirebbe a chi compie un crimine di godere dei
frutti del suo reato e nonostante non sia intensa viene più facilmente
ricordata. Beccaria propone quindi la detenzione in carcere per i colpevoli. Il
fine delle pene non deve quindi essere vendicativo ma rieducativo, in perfetto
spirito illuminista.
D Storicizzazione
del testo
D.1.1
Elementi derivanti dal passato “propriamente fattuali”
Nel
paragrafo 3 (dalla riga 30 alla 37) Beccaria spiega come nel passato ci siano
stati sovrani che hanno compreso l’inutilità della pena di morte per fermare la
criminalità, un esempio è quello dell’imperatrice Elisabetta di Moscovita.
Elisabetta Petrovna salì al trono con un colpo di Stato nel 1741; nel 1753-54
abolì la pena di morte.
Nel
paragrafo 5 (dalla riga 51 alla 56) l’autore cita i Persiani e i Lacedemoni
come esempi di popoli dominati da passioni violente, sempre pronti alla guerra.
D.1.2
Elementi derivanti dal passato “fattuali elaborati”
Beccaria
indaga sulla legittimità dell’azione di Stato: fino all’Illuminismo lo Stato
era preminente e la sua azione assolutamente e sempre legittima, per cui gli
uomini abitanti sul territorio di quello Stato erano semplicemente sudditi
senza "volontà politica" e senza "capacità decisionale"
perché privi di diritto. Questo permetteva al sovrano di poter dire "lo
Stato sono io" o "la legge sono io", e di fronte a lui
null’altro poteva esistere se non la sottomissione cieca e passiva di tutte le
altre persone.
La
prospettiva si sposta dal sovrano alla sovranità che è l’insieme di tutte le
piccole porzioni di libertà cedute dagli individui, che non sono più sudditi
passivi, ma cittadini protagonisti del vita della collettività e che hanno
nelle mani "un diritto" che proviene proprio dalla cessione di una
porzione della propria libertà.
In questo senso l’opera di Beccaria presenta idee già espresse da tanti
esponenti dell’Illuminismo, da Hobbes e Locke per finire a Rousseau e il suo
contrattualismo, che avevano messo in discussione tutto ciò che riguarda la
società e la sua costituzione: il "patto sociale" era stato già
teorizzato, spiegato e diffuso, rappresentava una novità assoluta e una
pericolosità elevata per il potere costituito sia religioso sia politico. Il
problema non era il rifiuto della tortura e della pena di morte, ma portava a
discutere il principio stesso della legittimità del potere assoluto dei
sovrani; un problema che poteva portare a prese di posizione che avrebbero
potuto intaccare il fondamento stesso del potere.
D.2
Cause, conseguenze e variabili riscontrate nel testo
Nel
testo l’autore dimostra il legame di causa e di effetto intercorrente tra
oppressione e ribellione. Egli porta il lettore ad assumere il punto di vista
del delinquente, per confrontare tra loro le reazioni, che s’immagina suscitino
in lui la prospettiva di una lunga pena detentiva o la previsione della pena
capitale.
Un
criminale non si fermerà nelle sue ree intenzioni davanti alla prospettiva
della pena di morte, poiché nel suo ragionamento potrà riscattarsi dall’ingiustizia
del governo e poi affrontare la morte con tranquillità o per fanatismo o per
vanità. Ma nessun uomo rischierebbe di perdere la libertà, per quanto utile sia
il delitto, per sopportare la lunga e ripetuta azione dei secondi passati in
schiavitù con la pena detentiva. Inoltre l’esecuzione pubblica non provoca che
sdegno e compassione negli spettatori, non la sana paura che la legge pretende
ispirare.
D.3
Rapporto di causalità storica (diretta, inversa, reciproca)
Il
rapporto tra pena di morte e criminalità è di causalità reciproca. La pena
capitale non è in grado di fermare la criminalità. Nel ragionamento del
delinquente la pena di morte non è che lo strumento che il dispotismo utilizza
per mantenere il potere, uccidendo tanti innocenti. Egli allora decide di
ribellarsi a questa ingiustizia, compiendo delitti e non temendo la morte. Lo
Stato condanna e punisce l’omicidio, commettendone uno esso stesso. Vi è quindi
una sorta di scambio tra oppressione (pena capitale) e ribellione (crimine).
D.4
Usi linguistici, valori, pregiudizi della civiltà di cui il testo è
testimonianza
Il
linguaggio di Beccaria ha un andamento semplice e discorsivo, scientifico per
quel che riguarda la dimostrazione delle sue idee, per cui date certe premesse
non si può che arrivare a determinate conseguenze. Beccaria si espone in
prima persona, andando al di là dei pregiudizi moralistici del tempo,
affermando il rispetto dell’uomo per qualunque uomo nel nome della
"libertà", che è patrimonio esclusivo di ciascuno, e della
"giustizia", che è il vincolo che unisce "le singole porzioni di
libertà cedute" da ciascun individuo formando lo Stato. Egli rispecchia il
pensiero illuminista: l’esaltazione della ragione e la critica al passato.
E Applicatio
Il tema della pena di morte è di grande attualità in questo periodo.
Sabato 30 dicembre 2006 il dittatore Saddam Hussein viene impiccato. Le immagini dell’esecuzione fanno il giro del mondo, suscitando soddisfazione in alcuni e orrore in altri.
Personalmente davanti a quelle immagini ho provato sdegno e
repulsione. Sono convinta che la pena di morte non sia che un atto barbaro, il
cui utilizzo come strumento di giustizia può essere comprensibile solo in
quelle popolazioni incivili e arretrate di secoli fa.
Trovo inconcepibile che in un mondo all’avanguardia come il nostro, sia ancora permesso a un uomo il potere di togliere la vita ad un altro. Inoltre, quale soddisfazione può dare vedere un colpevole umiliato e ucciso, sapendo che così non potrà mai pentirsi di ciò che ha fatto?! Come Saddam Hussein, che prima di morire ha pronunciato la frase “ Morirò da martire”. Non si è pentito e nemmeno è consapevole di tutto quel male che ha provocato in tante famiglie, uccidendo senza pietà migliaia d’innocenti. Capisco che vederlo morire abbia appagato la vendetta di tutti quelli a cui Hussein ha fatto del male, ma non sarebbe stato più soddisfacente vederlo soffrire al comando della stessa popolazione a cui lui stesso ha fatto torto? E con il passare del tempo, solo e privo della libertà, vederlo logorare dal pentimento per tutto quel dolore che ha causato?
E’ oramai dimostrato come la pena di morte non sia in grado di contrastare il crimine, per cui che utilità le rimane? E riflettendoci, quante persone innocenti si rischia ancora di uccidere, insistendo nel suo utilizzo?
Andreotti
Marta
Classe
4^ A linguistico
a.s.
2006/07