Guolo Mariachiara

Classe 3^ A linguistico

 

 ANALISI DEL TESTO FILOSOFICO

La dotta ignoranza di Socrate

(Platone, “Apologia di Socrate”)

 

A.   Introduzione critica all’autore e al testo.

Il testo analizzato è un’opera di Platone, primo filosofo del quale ci sono rimaste numerose testimonianze scritte, rappresentando anche la fonte principale per mezzo della quale ci è permesso conoscere il pensiero di Socrate,di cui non ci rimane nulla di scritto. Il motivo di questa vera e propria scelta da parte del filosofo è la sua idea che vede la scrittura dei pensieri come una “fossilizzazione”, dei concetti, il che per Socrate è impossibile, poiché crede nella assoluta e necessaria libertà del pensiero.

 

Platone.

Platone nasce nel 428 a.C.,in un contesto di profonda trasformazione sociale,politica,e culturale. Viene alla luce in una famiglia nobile e benestante, e i si presume che i primi contatti con Socrate,di cui diviene successivamente allievo,arrivarono intorno all’età di vent’anni(408 a.C.). I viaggi in Egitto e a Taranto e i contatti con gli allievi della scuola pitagorica, tra cui Teodoro di Cirene e Archita, innescarono nel filosofo un lampante interesse per la scienze matematiche. Platone non partecipa in maniera diretta alla vita politica della sua città, Atene, dalla quale si allontana dopo la condanna a morte di Socrate. Fra tutti i viaggi realizzati , tre furono di particolare rilevanza, ossia quelli compiuti a Siracusa. Platone, amico di Dione, grazie al quale compie il viaggio nella città governata dal tiranno Dionigi, ritenne che la politica e la filosofia fossero due discipline strettamente collegate, perciò tentò di influenzare la realtà politica per mezzo del pensiero filosofico.

Nel 387 a.C. fonda l’Accademia, un centro di studi filosofici ma anche di ricerca scientifica. Platone muore nel 347 a.C. all’età di 81 anni.

 

Il testo.

“la dotta ignoranza di Socrate” è un testo tratto da “apologia di Socrate”, operadi Platone, uno dei più illustri discepoli di Socrate.

Esso mette in luce la natura della vera saggezza, che non sta nella conoscenza materiale delle nozioni, ma nella consapevolezza e nell’accettazione della propria non sapienza come realtà effettivamente vera e innegabile. Questa dichiarazione funse da base a Socrate per le sue riflessioni, per le quali sostenne che la virtù principale fosse la cura e il miglioramento della propria anima attraverso la verità e la conoscenza.

Il testo fa riferimento all’episodio dell’oracolo di Delfi, che ispira il pensiero di Socrate. Egli fa sua l’iscrizione “Conosci te stesso”, e la interpreta costatando che l’unico modo per conoscere l’essenza dell’uomo è comprendere la sua natura, cosa possibile solo per mezzo della ragione.

 

 

B.   Lettura ripetuta e operazioni su alcuni termini

B.1. La lettura del testo è risultata abbastanza scorrevole ed efficace, anche se la comprensione ha richiesto più livelli di lettura.

 

B.2.Il genere filosofico del documento è il monologo.

 

B.3.I termini sorprendenti ricavati dalla lettura del testo sono:

Sapienza (riga 1), contro voglia (riga 10), vaticinio (13), venivo in odio a tutti (riga 27), gente da poco (riga 35)

 

 

B.4.

Sapienza: L’autore attribuisce a questo termine il significato di capacità di arrivare all’essenza delle cose, e come impiego della razionalità per l’analisi della realtà.

Nel testo “Conosci te stesso” questo termine assume il valore di “capacità di curare se stessi”, sempre tramite la ragione, unico mezzo per migliorare l’anima.

Il significato connotativi della parola è vasta, completa, e approfondita conoscenza delle cose, quindi in senso culturale e relativo alle nozioni.

 

Contro voglia: è risultata strana la comparsa di questa parola che indica la svogliatezza con la quale si affronta una situazione. Probabilmente in questo contesto è utilizzata dall’autore con significato di obbligo morale.

 

Vaticinio: rivelazione, profezia.

 

Venivo in odio a tutti: letteralmente Socrate stesso suscitava l’astio altrui, soprattutto da parte di politici.

 

Gente da poco: chiaro esempio di discriminazione nei confronti di chi non aveva la possibilità di accedere agli studi e alle dottrine dei grandi filosofi: in poche parole, a chi si riteneva fosse scontato che non sapesse.

 

 

C.   Scomposizione

C.1.1/C.1.2.  la struttura del testo è paragonabile a quella del testo argomentativo. Mi trovo perciò a suddividere il contenuto in paragrafi che rispettano l’ordine della dimostrazione. Si trovano infatti:

1.   primo paragrafo dalla riga 1 alla 5 (fino a “…più sapiente di me non c’era nessuno.”). Questo segmento può essere considerato un’introduzione, che fornisce luogo, tempo, e personaggi della vicenda per facilitarne la comprensione, e il fatto principale da cui ha origine tutto.

TITOLO: Cherofonte si rivolge all’oracolo di Delfi: Socrate è il più sapiente.

2.   secondo paragrafo dalla riga 5 alla 10 (fino a “..che cosa mai il dio voleva dire.”). TITOLO: Socrate si interroga sul responso dell’oracolo.

3.   terzo paragrafo dalla riga 10 alla 19 (fino a “…credeva di essere sapiente, ma non era.”). TITOLO: la ricerca di Socrate: il  primo esperimento.

4.   quarto paragrafo dalla riga 10 alla 25 (fino a “…quel che non so, neanche credo di saperlo.”). TITOLO: Socrate che sa di non sapere sa più di chi non sa di non sapere.

5.   quinto paragrafo dalla riga 25 alla 27. TITOLO: la ricerca di Socrate attira le inimicizie dei politici.

6.   sesto paragrafo dalla riga 28 alla 36. Questa sezione può essere considerata il corollario della dimostrazione del filosofo, che tira le somme della sua ricerca. TITOLO: I risultati della ricerca.

 

C.1.3.  Paragrafo 1: “..la Pizia rispose che più sapiente di me non c’era nessuno.”(r. 5)

Paragrafo 2: “..io,per me,non ho proprio coscienza di essere sapiente, né poco né molto”. (r. 7)

Paragrafo 3: “..provai a farglielo capire che credeva di essere sapiente, ma non era.”(r.18)

Paragrafo 4: “…costui credeva di sapere e non sapeva. Io invece,come non sapevo, neanche credevo di sapere.” (r. 23)

Paragrafo 5: “…mi tirai addosso l’odio di costui e di molti altri.”(r. 27)

Paragrafo 6: “… coloro che avevano fama di maggior sapienza […] mi apparvero quasi tutti in maggior difetto, e altri che avevano nome di gente da poco, migliori di quelli più saggi.”(r. 32/36)

 

 

C.2.1. La tesi centrale del testo è rintracciabile dalla riga 20 alla 25: “…Dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest’uomo ero più sapiente io: in questo senso, che l’uno e l’altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere;e mi parve insomma che almeno in una piccola cosa io fossi più sapiente di lui, per questa cosa che io,quel che non so,neanche credo di saperlo.”. È  in queste parole che si nasconde la vera tesi di Socrate, che segnala con il verbo concludere. Il titolo “la dotta ignoranza” si esprime in queste parole, che spiegano la reale ignoranza di tutti coloro che, credendosi conoscenti, sono in realtà non sapienti, poiché la non sapienza è la condizione naturale dell’uomo, quindi non sapere di non sapere equivale a non aver compreso la natura dell’anima umana, che secondo Socrate è il percorso che porta al pieno sviluppo della persona.

 

C.2.2 Socrate giunge a questa tesi dopo una accurata riflessione sulla base di un confronto fatto con un uomo ritenuto sapiente: un politico. La sua sfrontata sicurezza di sapere, è oggetto di critica da parte del saggio, che ammonisce i politici poiché li ritiene ignari del fondamento delle loro azioni. Essi, privi di ragioni razionali del loro agire, operano per il fine unico di persuadere per mezzo dell’arte oratoria: quindi non tramite il lògos, ma attraverso scelte non basate sulla verità. Di qui la loro incapacità di “essere umili”: dal momento che sono convinti di sapere non sanno.

 

C.2.3 Socrate da per scontata l’esistenza dell’oracolo di Delfi, e prima del ragionamento anche la sapienza di alcuni uomini quali i politici.

 

C.2.4 Il testo appare seguire lo schema del testo argomentativo: viene espressa una tesi, viene argomentata, e si conclude con un corollario. Come già sottolineato, viene espresso anche un confronto tra uomini di politica e filosofi.

 

 

D.   Storicizzazione del testo.

D.1/D.2 Il fatto storico cui Socrate fa palese riferimento è senza dubbio l’episodio dell’oracolo di Delfi, dal quale si snoda tutta la vicenda. Cherefonte, amico di Socrate, si recò preso l’oracolo, e gli chiese se vi fosse qualcuno più sapiente del filosofo. La Pizia, sacerdotessa di Apollo, rispose che non c’era nessuno più sapiente di Socrate. Di qui partono le riflessioni e la ricerca del pensatore, che giunge alla sua tesi e la dimostra.

Tuttavia, il testo presenta al suo interno un quadro della società ateniese dell’epoca, mostrando valori e pregiudizi di quel tempo. Un valore assoluto e indiscutibile era la fede:  la religiosità, la totale devozione e affidamento a dio erano un vero e proprio precetto morale, che se rifiutato causava l’accusa di ateismo. Per quanto riguarda i pregiudizi non è difficile intuire che gli ammonimenti sono rivolti agli uomini di politica. Criticati aspramente da Socrate ma  guardati con disapprovazione anche dalla società intera, gli uomini di spicco della pòlis venivano considerati opportunisti, calcolatori, e arrivisti, che utilizzavano l’arte dell’eloquenza per i propri scopi di potere.

D.3 Il ragionamento di Socrate trova dei punti in comune con la filosofia parmenidea: come Socrate pone il lògos come base fondamentale per la ricerca del vero bene proprio, Parmenide coglie gli attributi dell’essere con la forza della ragione. Entrambi convergono all’intuizione della natura dell’essere non per mezzo della conoscenza sensibile (dòxa) ma tramite la via della verità percorribile attraverso la ragione (alétheia).

 

E.   Analisi teoretica e attualizzazione

E.2  prendendo in considerazione il “sapere di non sapere”, credo che il pensiero di Socrate possa essere molto utile come spunto per la riflessione riguardo la nostra epoca. L’ammettere di non sapere ai giorni nostri è inammissibile: la ricerca scientifica e i progressi,che hanno come scopo il raggiungimento di una perfezione oggettiva tramite la conoscenza, ne sono l’esempio. Nel caso di Socrate ci troviamo di fronte a valori che oggi sono del tutto svaniti, come ad esempio il dovere morale di sottostare agli dèi. In un tempo come quello del filosofo ateniese era impossibile accettare l’avanzamento della razionalità umana, che andava invadendo il postulato della ragione divina. Un tempo il sapere aveva dei limiti. E oggi? Ai nostri giorni la conoscenza non ha confini: lo scienziato non deve più fare attenzione ai limiti imposti dal credo, e può continuamente cercare, ma soprattutto creare, attività che nel secolo di Socrate sarebbe apparsa blasfema poiché il creare è una prerogativa divina. Detto questo, sorge spontaneo un dubbio: sapere è un bene o un male? Non sappiamo come uomini cosa sia bene o cosa sia male, ma sappiamo cosa è utile, che non è detto che sia bene. Se avessimo rispettato l’ideologia riportata nel testo molto probabilmente non avremmo avuto problemi che però sono sorti, come non avremmo avuto la possibilità di estirpare mali che solo la conoscenza e alla ricerca abbiamo vinto.

La realtà è che la società di oggi non vuole avere più nulla a che fare con la sapienza divina e con i dogmi morali. Vuole andare avanti, evolversi, scoprire, anche rischiando, senza sapere quali effetti la conoscenza porterà. A mio parere non sempre la conoscenza è positiva: presupponendo che l’uomo è l’unico essere sulla Terra dotato di ragione e capacità di agire non per istinto, sappiamo quanto sia utile il sapere per scopi non benevoli. Quindi un sapere più ampio e sconfinato aiuta sì a sconfiggere i mali che la realtà ci porta ad affrontare, ma porta anche il rischio di una tentazione che è nella natura umana da secoli: quella di usare ogni mezzo  per elevare se stessi, sconfiggere gli altri, vincere. Come i sofisti adottavano la retorica per la persuasione, oggi noi usiamo il sapere, estremamente più pericoloso perché dotato di maggiori mezzi. Ma se l’utile è tutto ciò che porta beneficio alla comunità, questo modo di usufruire della sapienza può considerarsi utile? Si,ma solo all’individuo,quando invece sappiamo che l’uomo è un animale sociale. Quindi, da cosa deriva la necessità di superare gli altri e vincere probabilmente viviamo ancora nell’ombra della legge del più forte, ma in una versione molto più moderna, in cui i mezzi sono ancora le armi, ma terribilmente più “intelligenti”. Il sapere quindi è un mezzo, una facoltà che ci è data e che sfruttiamo avidamente. In maniera sbagliata forse,ma che per noi è necessaria. L’uomo in sé non sa,e non saprà mai. La presunzione che lo porta a collezionare scoperte eclatanti non lo porterà mai a raggiungere quella coscienza di sé che è la base per la felicità e la stabilità.

 

E.3 Illustre Socrate,

dopo aver avuto l’occasione di leggere quanto da lei pensato mi trovo a condividere le sue riflessioni. Lei ammonisce i politici e l’uso improprio della retorica, come del resto andrebbe fatto anche oggi. Forse i tempi non sono poi così cambiati, sono mutati solo i mezzi che l’uomo ha a disposizione, perché sono più raffinati. Tuttavia credo che le sue considerazioni siano impossibili da applicare al giorno d’oggi. Lei fa riferimento a un periodo storico in cui la fede è un dovere morale, mentre oggi è un valore pressoché scomparso. Chi oggi si affiderebbe a un oracolo per capire qualcosa? Lei parla della necessità di conoscere sé stessi come unico modo per arrivare alla felicità, e credo anche io che sia così. Ma oggi l’uomo sa chi è? Cosa è diventato? Come ha fatto a diventare ciò che è? A mio parere ci stiamo trasformando in ciò di cui ci serviamo: robot. Persone intelligentissime dall’intelletto acuto, ma eccessivamente razionali e meccaniche. Si,la ragione è alla base di ogni logica, ma siamo sicuri che venga usata nella maniera più giusta? Mi spiace mostrare ammonimento verso questa società che è anche la mia, ma non posso chiudere gli occhi di fronte a tanto orrore che viene dimenticato quando esisterebbero i mezzi per sconfiggerlo, mezzi impiegati per scopi futili e nocivi. Dovremmo imparare tutti un da lei, dalla filosofia del suo tempo, e imparare una grande lezione di umiltà. Se solo oggi ci fosse qualcuno a parlare così come lei faceva al suo tempo… purtroppo nessuno osa spiegare come andrebbero affrontate le cose nel modo giusto, perché non porterebbe guadagno. Sarebbe magnifico poter parlare con lei, e poterla ascoltare, poterla vedere insegnare. Ma credo che se anche ne avesse la possibilità, purtroppo l’ascolterebbero in pochi. Voglio ringraziarla per ciò che ha dato alla filosofia, come vorrei ringraziare Platone per averci dato la possibilità di accedere al suo pensiero. Soprattutto le sono grata per ciò che mi ha insegnato, a distanza di secoli: la lettura delle sue convinzioni mi ha faro capire molte cose.

 

Distinti saluti.

Guolo Mariachiara

 

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