Guolo Mariachiara
Classe 3^ A
linguistico
La
dotta ignoranza di Socrate
(Platone,
“Apologia di Socrate”)
A.
Introduzione
critica all’autore e al testo.
Il
testo analizzato è un’opera di Platone, primo filosofo del quale ci sono
rimaste numerose testimonianze scritte, rappresentando anche la fonte
principale per mezzo della quale ci è permesso conoscere il pensiero di
Socrate,di cui non ci rimane nulla di scritto. Il motivo di questa vera e
propria scelta da parte del filosofo è la sua idea che vede la scrittura dei
pensieri come una “fossilizzazione”, dei concetti, il che per Socrate è
impossibile, poiché crede nella assoluta e necessaria libertà del pensiero.
Platone.
Platone
nasce nel
Nel
Il testo.
“la
dotta ignoranza di Socrate” è un testo tratto da “apologia di Socrate”, operadi Platone, uno dei più illustri discepoli di Socrate.
Esso
mette in luce la natura della vera saggezza, che non sta nella conoscenza
materiale delle nozioni, ma nella consapevolezza e nell’accettazione della
propria non sapienza come realtà effettivamente vera e innegabile. Questa
dichiarazione funse da base a Socrate per le sue riflessioni, per le quali
sostenne che la virtù principale fosse la cura e il miglioramento della propria
anima attraverso la verità e la conoscenza.
Il
testo fa riferimento all’episodio dell’oracolo di Delfi, che ispira il pensiero
di Socrate. Egli fa sua l’iscrizione “Conosci te stesso”, e la interpreta costatando
che l’unico modo per conoscere l’essenza dell’uomo è comprendere la sua natura,
cosa possibile solo per mezzo della ragione.
B.
Lettura
ripetuta e operazioni su alcuni termini
B.1. La
lettura del testo è risultata abbastanza scorrevole ed efficace, anche se la
comprensione ha richiesto più livelli di lettura.
B.2.Il
genere filosofico del documento è il monologo.
B.3.I
termini sorprendenti ricavati dalla lettura del testo sono:
Sapienza
(riga 1), contro voglia (riga 10), vaticinio (13), venivo in odio a tutti (riga
27), gente da poco (riga 35)
B.4.
Sapienza:
L’autore attribuisce a questo termine il significato di capacità di arrivare
all’essenza delle cose, e come impiego della razionalità per l’analisi della
realtà.
Nel
testo “Conosci te stesso” questo termine assume il valore di “capacità di
curare se stessi”, sempre tramite la ragione, unico mezzo per migliorare
l’anima.
Il
significato connotativi della parola è vasta, completa, e approfondita
conoscenza delle cose, quindi in senso culturale e relativo alle nozioni.
Contro
voglia: è risultata strana la comparsa di questa parola che indica la
svogliatezza con la quale si affronta una situazione. Probabilmente in questo
contesto è utilizzata dall’autore con significato di obbligo morale.
Vaticinio:
rivelazione, profezia.
Venivo
in odio a tutti: letteralmente Socrate stesso suscitava l’astio altrui,
soprattutto da parte di politici.
Gente
da poco: chiaro esempio di discriminazione nei confronti di chi non aveva la
possibilità di accedere agli studi e alle dottrine dei grandi filosofi: in
poche parole, a chi si riteneva fosse scontato che non sapesse.
C. Scomposizione
C.1.1/C.1.2.
la struttura del testo è
paragonabile a quella del testo argomentativo. Mi trovo perciò a suddividere il
contenuto in paragrafi che rispettano l’ordine della dimostrazione. Si trovano
infatti:
1. primo
paragrafo dalla riga 1 alla 5 (fino a “…più
sapiente di me non c’era nessuno.”). Questo segmento può essere considerato
un’introduzione, che fornisce luogo, tempo, e personaggi della vicenda per
facilitarne la comprensione, e il fatto principale da cui ha origine tutto.
TITOLO:
Cherofonte si rivolge all’oracolo di Delfi: Socrate è
il più sapiente.
2. secondo
paragrafo dalla riga 5 alla 10 (fino a “..che
cosa mai il dio voleva dire.”). TITOLO: Socrate si interroga sul responso
dell’oracolo.
3. terzo
paragrafo dalla riga 10 alla 19 (fino a “…credeva
di essere sapiente, ma non era.”). TITOLO: la ricerca di Socrate: il primo esperimento.
4. quarto
paragrafo dalla riga 10 alla 25 (fino a “…quel
che non so, neanche credo di saperlo.”). TITOLO: Socrate che sa di non
sapere sa più di chi non sa di non sapere.
5. quinto
paragrafo dalla riga 25 alla 27. TITOLO: la ricerca di Socrate attira le
inimicizie dei politici.
6. sesto
paragrafo dalla riga 28 alla 36. Questa sezione può essere considerata il
corollario della dimostrazione del filosofo, che tira le somme della sua
ricerca. TITOLO: I risultati della ricerca.
C.1.3. Paragrafo 1: “..
Paragrafo
2: “..io,per me,non ho proprio coscienza
di essere sapiente, né poco né molto”. (r. 7)
Paragrafo
3: “..provai a farglielo capire che
credeva di essere sapiente, ma non era.”(r.18)
Paragrafo
4: “…costui credeva di sapere e non
sapeva. Io invece,come non sapevo, neanche credevo di sapere.” (r. 23)
Paragrafo
5: “…mi tirai addosso l’odio di costui e
di molti altri.”(r. 27)
Paragrafo
6: “… coloro che avevano fama di maggior
sapienza […] mi apparvero quasi tutti in maggior difetto, e altri che avevano
nome di gente da poco, migliori di quelli più saggi.”(r. 32/36)
C.2.1.
La tesi centrale del testo è rintracciabile dalla riga 20 alla
25: “…Dovetti concludere meco stesso che
veramente di cotest’uomo ero più sapiente io: in
questo senso, che l’uno e l’altro di noi due poteva pur darsi non sapesse
niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io
invece, come non sapevo, neanche credevo sapere;e mi parve insomma che almeno
in una piccola cosa io fossi più sapiente di lui, per questa cosa che io,quel
che non so,neanche credo di saperlo.”. È in queste parole che si
nasconde la vera tesi di Socrate, che segnala con il verbo concludere. Il
titolo “la dotta ignoranza” si esprime in queste parole, che spiegano la reale
ignoranza di tutti coloro che, credendosi conoscenti, sono in realtà non
sapienti, poiché la non sapienza è la condizione naturale dell’uomo, quindi non
sapere di non sapere equivale a non aver compreso la natura dell’anima umana,
che secondo Socrate è il percorso che porta al pieno sviluppo della persona.
C.2.2
Socrate giunge a questa tesi dopo una accurata riflessione sulla
base di un confronto fatto con un uomo ritenuto sapiente: un politico. La sua
sfrontata sicurezza di sapere, è oggetto di critica da parte del saggio, che
ammonisce i politici poiché li ritiene ignari del fondamento delle loro azioni.
Essi, privi di ragioni razionali del loro agire, operano per il fine unico di
persuadere per mezzo dell’arte oratoria: quindi non tramite il lògos, ma
attraverso scelte non basate sulla verità. Di qui la loro incapacità di “essere
umili”: dal momento che sono convinti di sapere non sanno.
C.2.3
Socrate da per scontata l’esistenza dell’oracolo di Delfi, e
prima del ragionamento anche la sapienza di alcuni uomini quali i politici.
C.2.4
Il testo appare seguire lo schema del testo argomentativo: viene
espressa una tesi, viene argomentata, e si conclude con un corollario. Come già
sottolineato, viene espresso anche un confronto tra uomini di politica e
filosofi.
D.
Storicizzazione
del testo.
D.1/D.2
Il fatto storico cui Socrate fa palese riferimento è senza
dubbio l’episodio dell’oracolo di Delfi, dal quale si snoda tutta la vicenda. Cherefonte, amico di Socrate, si recò preso l’oracolo, e gli
chiese se vi fosse qualcuno più sapiente del filosofo.
Tuttavia,
il testo presenta al suo interno un quadro della società ateniese dell’epoca,
mostrando valori e pregiudizi di quel tempo. Un valore assoluto e indiscutibile
era la fede: la religiosità, la totale
devozione e affidamento a dio erano un vero e proprio precetto morale, che se
rifiutato causava l’accusa di ateismo. Per quanto riguarda i pregiudizi non è
difficile intuire che gli ammonimenti sono rivolti agli uomini di politica.
Criticati aspramente da Socrate ma
guardati con disapprovazione anche dalla società intera, gli uomini di
spicco della pòlis venivano considerati opportunisti,
calcolatori, e arrivisti, che utilizzavano l’arte dell’eloquenza per i propri
scopi di potere.
D.3 Il
ragionamento di Socrate trova dei punti in comune con la filosofia parmenidea: come Socrate pone il lògos
come base fondamentale per la ricerca del vero bene proprio, Parmenide coglie
gli attributi dell’essere con la forza della ragione. Entrambi convergono
all’intuizione della natura dell’essere non per mezzo della conoscenza sensibile
(dòxa) ma tramite la via della verità percorribile
attraverso la ragione (alétheia).
E. Analisi teoretica e attualizzazione
E.2 prendendo in considerazione il “sapere di non
sapere”, credo che il pensiero di Socrate possa essere molto utile come spunto
per la riflessione riguardo la nostra epoca. L’ammettere di non sapere ai
giorni nostri è inammissibile: la ricerca scientifica e i progressi,che hanno
come scopo il raggiungimento di una perfezione oggettiva tramite la conoscenza,
ne sono l’esempio. Nel caso di Socrate ci troviamo di fronte a valori che oggi
sono del tutto svaniti, come ad esempio il dovere morale di sottostare agli
dèi. In un tempo come quello del filosofo ateniese era impossibile accettare l’avanzamento
della razionalità umana, che andava invadendo il postulato della ragione
divina. Un tempo il sapere aveva dei limiti. E oggi? Ai nostri giorni la
conoscenza non ha confini: lo scienziato non deve più fare attenzione ai limiti
imposti dal credo, e può continuamente cercare, ma soprattutto creare, attività
che nel secolo di Socrate sarebbe apparsa blasfema poiché il creare è una
prerogativa divina. Detto questo, sorge spontaneo un dubbio: sapere è un bene o
un male? Non sappiamo come uomini cosa sia bene o cosa sia male, ma sappiamo
cosa è utile, che non è detto che sia bene. Se avessimo rispettato l’ideologia
riportata nel testo molto probabilmente non avremmo avuto problemi che però
sono sorti, come non avremmo avuto la possibilità di estirpare mali che solo la
conoscenza e alla ricerca abbiamo vinto.
La
realtà è che la società di oggi non vuole avere più nulla a che fare con la
sapienza divina e con i dogmi morali. Vuole andare avanti, evolversi, scoprire,
anche rischiando, senza sapere quali effetti la conoscenza porterà. A mio
parere non sempre la conoscenza è positiva: presupponendo che l’uomo è l’unico
essere sulla Terra dotato di ragione e capacità di agire non per istinto,
sappiamo quanto sia utile il sapere per scopi non benevoli. Quindi un sapere
più ampio e sconfinato aiuta sì a sconfiggere i mali che la realtà ci porta ad
affrontare, ma porta anche il rischio di una tentazione che è nella natura
umana da secoli: quella di usare ogni mezzo
per elevare se stessi, sconfiggere gli altri, vincere. Come i sofisti
adottavano la retorica per la persuasione, oggi noi usiamo il sapere,
estremamente più pericoloso perché dotato di maggiori mezzi. Ma se l’utile è
tutto ciò che porta beneficio alla comunità, questo modo di usufruire della
sapienza può considerarsi utile? Si,ma solo all’individuo,quando invece
sappiamo che l’uomo è un animale sociale. Quindi, da cosa deriva la necessità
di superare gli altri e vincere probabilmente viviamo ancora nell’ombra della
legge del più forte, ma in una versione molto più moderna, in cui i mezzi sono
ancora le armi, ma terribilmente più “intelligenti”. Il sapere quindi è un
mezzo, una facoltà che ci è data e che sfruttiamo avidamente. In maniera
sbagliata forse,ma che per noi è necessaria. L’uomo in sé non sa,e non saprà
mai. La presunzione che lo porta a collezionare scoperte eclatanti non lo
porterà mai a raggiungere quella coscienza di sé che è la base per la felicità
e la stabilità.
E.3 Illustre
Socrate,
dopo
aver avuto l’occasione di leggere quanto da lei pensato mi trovo a condividere
le sue riflessioni. Lei ammonisce i politici e l’uso improprio della retorica,
come del resto andrebbe fatto anche oggi. Forse i tempi non sono poi così
cambiati, sono mutati solo i mezzi che l’uomo ha a disposizione, perché sono
più raffinati. Tuttavia credo che le sue considerazioni siano impossibili da
applicare al giorno d’oggi. Lei fa riferimento a un periodo storico in cui la
fede è un dovere morale, mentre oggi è un valore pressoché scomparso. Chi oggi
si affiderebbe a un oracolo per capire qualcosa? Lei parla della necessità di
conoscere sé stessi come unico modo per arrivare alla felicità, e credo anche
io che sia così. Ma oggi l’uomo sa chi è? Cosa è diventato? Come ha fatto a
diventare ciò che è? A mio parere ci stiamo trasformando in ciò di cui ci
serviamo: robot. Persone intelligentissime dall’intelletto acuto, ma
eccessivamente razionali e meccaniche. Si,la ragione è alla base di ogni
logica, ma siamo sicuri che venga usata nella maniera più giusta? Mi spiace
mostrare ammonimento verso questa società che è anche la mia, ma non posso
chiudere gli occhi di fronte a tanto orrore che viene dimenticato quando
esisterebbero i mezzi per sconfiggerlo, mezzi impiegati per scopi futili e
nocivi. Dovremmo imparare tutti un da lei, dalla filosofia del suo tempo, e
imparare una grande lezione di umiltà. Se solo oggi ci fosse qualcuno a parlare
così come lei faceva al suo tempo… purtroppo nessuno osa spiegare come
andrebbero affrontate le cose nel modo giusto, perché non porterebbe guadagno.
Sarebbe magnifico poter parlare con lei, e poterla ascoltare, poterla vedere
insegnare. Ma credo che se anche ne avesse la possibilità, purtroppo
l’ascolterebbero in pochi. Voglio ringraziarla per ciò che ha dato alla
filosofia, come vorrei ringraziare Platone per averci dato la possibilità di
accedere al suo pensiero. Soprattutto le sono grata per ciò che mi ha
insegnato, a distanza di secoli: la lettura delle sue convinzioni mi ha faro
capire molte cose.
Distinti
saluti.
Guolo Mariachiara
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