Girdescu Anamaria Gabriela
L’Anello di Gige
A Platone visse in un periodo di grandi
trasformazioni politiche e sociali per Atene. Nato nel 427 d.C. da una famiglia
nobile, entrò in contatto per la prima volta con Socrate nel 408. Dopo la morte
di quest’ultimo Platone incominciò una serie di viaggi che lo portarono a
conoscere filosofi e pitagorici e a
sviluppare interessi come la matematica. I suoi viaggi più importanti sono
quelli che intraprese a Siracusa, durante i quali si implicò nella politica
locale, sostenendo il cognato del tiranno Dionisio I, Dione. Questo suo
intervento fallì però in seguito all’incoronazione di Dionisio II e nel 306,
alla fine del terzo viaggio, tornò ad Atene. Qui, dopo il primo viaggio a
Siracusa, aveva già fondato l’Accademia nella quale si studiava la matematica,
la filosofia e l’astronomia. Le ricerche di Platone si concentrarono sul
significato profondo della virtù, sul metodo di raggiungere la verità e
sull’organizzazione politica dello stato.
Il presente testo fa parte del secondo
libro della “Repubblica”, la quale rientra nei dialoghi della maturità. Nella
“Repubblica”, Platone indaga sulla costituzione dello stato e nel secondo libro
si analizza la giustizia. Il testo mette in evidenza un mito, “L’Anello di
Gige”, attraverso il quale si dimostra che l’uomo non è portato a compiere
azioni giuste, datosi la possibilità di commettere ingiustizie.
B1 Dopo una prima lettura, ho capito che
il testo tratta sulla giustizia e, in particolar modo, sull’esistenza dell’uomo
giusto. Di importante rilievo è il mito di Gige (l’antenato del re di Lidia)
che viene usato per dimostrare che non c’è uomo che agisca giustamente di
propria volontà.
B2 Il testo è un dialogo. Come possiamo
dedurre dalla riga 13, uno degli interlocutori è Socrate.
B3 I termini che mi hanno maggiormente
colpito sono: “bene”(righe 1,2,9,18), “male”(righe 1,2) e “pazzo”(riga 12).
B4 1. In questo testo, il termine “bene” è
relativo a colui che compie ingiustizie, mentre il termine “male” si riferisce
a colui che le subisce. Questi due termini ricorrono assai spesso e vengono
usati per determinare lo stato di una singola persona, a seconda delle azioni
che sceglie di compiere. Il bene pertanto, caratterizza lo stato della persona
che compie azioni errate e non quello dell’individuo che le subisce.
Quest’ultimo invece, si trova nella condizione peggiore.
L’ultimo termine che ho scelto,
“pazzo”(riga 12), viene usato una sola volta per descrivere l’uomo che sceglie
la strada giusta se ha la possibilità di scegliere quella ingiusta. Quindi,
“pazzo” è un aggettivo attribuito a che rimane nello stato di male, potendo
avere il bene. Ho scelto questo termine perché non l’avevo mai trovato prima
come attributo di una persona giusta. Per lo stesso motivo ho indicato come
sorprendenti le parole “bene”(associato all’ingiustizia) e “male”(associato
alla giustizia).
2. Per quanto riguarda l’uso che
ne fa l’autore in altri testi, mi soffermerò soltanto sui primi due termini.
Questi sono stati da Platone nel dialogo di Gorgia (Opere complete, vol V, pp 205-207) in cui si
arriva alla conclusione che il bene non si identifica con il piacere, così come
il male non si identifica con la sofferenza. L’autore ha utilizzato queste
parole in modo diverso rispetto all’uso che ne fa nel testo “L’Anello di Gige”.
In quest’ultimo, il bene si identificherebbe proprio con il piacere; non si
tratta però di un piacere fisico, ma del piacere di comandare, di aver un
regno, un potere, in poche parole di avere l’oggetto del desiderio. Lo stesso
può essere precisato anche per il termine “male”, in quanto che si trova in
questo stato soffre.
3. Nel dizionario filosofico (Nicola
Abbagnano, “Dizionario di filosofia”, 1971, seconda
edizione) il termine “bene” possiede due significati: 1) una realtà perfetta o
suprema desiderata come tale; 2) ciò che viene desiderato o ciò che piace. Il
“male” invece, dal punto di vista filosofico, designa il non-essere oppure una
dualità nell’essere (il primo significato), o, secondo la nozione
soggettivistica, l’oggetto di un’appetizione negativa o di un giudizio negativo
(il secondo significato).
Per quanto riguarda il termine
“pazzo”, ho trovato nel dizionario filosofico l’opinione di Platone sulla
pazzia. Egli la vede “buona”, in quanto non è malattia o perdizione e l’ha
intesa in due modi diversi: 1) come ispirazione o dono divino, 2)come amore
della vita e tendenza a viverla nella sua semplicità.
C.1.1+C.1.2
Ho diviso il testo in quattro paragrafi: il primo (dalla riga 1 alla riga 13
incluse) l’ho intitolato “Tra la condizione migliore e la condizione peggiore”,
il secondo(dalla riga 14 alla riga 19 incluse) l’ho intitolato “ La giustizia è
l’impossibilità di commettere ingiustizie, il terzo (dalla riga 20 alla riga
36-fino al punto, incluse) l’ho intitolato “L’Anello di Gige” e il quarto
(dalla riga 36-dal punto alla riga 50 incluse) si intitola: ”Nessuno è giusto
di sua volontà”.
C.1.3. Ho individuato le seguenti parole-chiave:
“ingiustizia”(righe 1 , 3 , 4 , 7 , 8 , 10 , 11 , 15 , 45 , 48 , 50 ), “ingiusto”( righe 16,
17, 37), “male”(righe 1, 2), “giustizia”(righe 6, 8, 13, 38, 44, 46),
“giusto”(righe 6, 16, 17, 37) e “bene”(1, 2, 9, 18). Queste parole ricorrono
spesso e sono importanti sia per formulare la tesi che per svolgere le
argomentazioni.
C.2.1 La tesi centrale del testo afferma che
l’ingiustizia più vantaggiosa della giustizia (la si può trovare esplicitata
alla fine del testo: righe 45-46).
C.2.2 Una prima argomentazione addotta a
sostegno della tesi la possiamo identificare all’inizio del testo (righe
8-9-10) dove si afferma che “la giustizia…viene amata…come un qualcosa che è
tenuto in conto per l’incapacità di commettere ingiustizia”, essendo “la
posizione intermedia” tra la condizione
migliore e la condizione peggiore dell’uomo. Di seguito (righe 10-11-12), la
seconda argomentazione mette in risalto il fatto che nessun uomo “vero”
subirebbe l’ingiustizia, datosi la possibilità di agire in modo ingiusto (“chi
infatti potesse agire così e fosse un vero uomo, non si accorderebbe mai con
qualcuno per non commettere o subire ingiustizia, perché sarebbe pazzo”
Alla riga 14 troviamo anche la
terza argomentazione: ”chi la pratica lo fa contro voglia, per l’impossibilità
di commettere ingiustizia”. Qui si prende in esame l’uomo giusto e si
giustifica la sua scelta: egli è infatti giusto perché non può commettere
ingiustizia. Alle righe successive(15-36), troviamo un esempio sostenuto da un
mito (l’anello di Gige). Quest’esempio dimostra la stessa argomentazione.
Un’ultima argomentazione la
possiamo individuare alla fine del testo (righe 47-50) dove si prende in esame
il caso di colui che,nonostante la possibilità di avere ciò che desidera,
sceglie la via della giustizia: ”se uno, venuto in possesso di un simile
potere, non volesse commettere ingiustizia alcuna…parrebbe l’uomo più infelice
e più stupido”. Quest’argomentazione completa la prima: se l’uomo “vero” è
colui che sceglie il bene, l’uomo “infelice” e “stupido” è colui che, potendo
accedere al bene, si accontenta di una condizione intermedia.
C.2.3 Ho identificato una convinzione non
dimostrata alla riga 1: “Si dice che il commettere ingiustizia sia per natura
un bene, il subirla un male, e che il subirla sia un male maggiore di quanto
non sia un bene commetterla”. L’autore la introduce per fondare un ragionamento
volto a stabilire il carattere di “posizione intermedia” tra la condizione
migliore e la condizione peggiore della giustizia, ma non la dimostra,
considerandola sin dall’inizio vera.
C.2.4. L’autore ricorre a una convinzione non
dimostrata (riga 1-2: “Si dice che il commettere ingiustizia…commetterla”) per
arrivare alla prima argomentazione e a un mito per sostenere la terza
argomentazione. In questo modo, si parte da un esempio specifico(la storia di
Gige) alla regola generale(nessuno avrebbe agito diversamente da Gige).
Pertanto, l’autore ricorre anche al metodo induttivo.
D1. Il testo fa direttamente riferimento
alla storia della Lidia (attraverso il mito stesso) e alla origini della
giustizia (righe 5, 6, 7, 8), vista come un mezzo per impedire sia il
commettere che il subire ingiustizia.
D2. Il testo rappresenta la testimonianza
di una civiltà antica, in quanto ne fa emergere i valori e i pregiudizi. Il
presupposto da cui parte il ragionamento sull’origine della giustizia (riga 1)
rappresenta un parere comune, in quanto introdotto tramite la principale “Si dice che”.
La giustizia è una condizione
intermedia tra il bene e il male e viene amata come una necessità. Questa sua
natura è nota a tutti: “secondo l’opinione corrente”(riga 13).
La natura dell’uomo stesso
veniva intesa in un modo diverso rispetto al modo in cui noi la percepiamo.
L’uomo infatti, non era tale se non commetteva ingiustizia, avendone la
possibilità (righe 10-11-12). Se egli si rifiutava di seguire la strada
ingiusta, veniva addirittura considerato “pazzo” (12) o “infelice e…stupido” (riga
49). L’uomo dunque, era portato a seguire quella via che gli facesse avere
tutto ciò che desiderava: “fare tutte le altre cose che lo renderebbero tra gli
uomini pari agli dèi” (riga 41).
E infine, l’uso della parola
“dèi” (riga 41) svela il carattere politeista della religione di questa civiltà
antica.
D3. Il contesto culturale in cui cresce la
filosofia di Platone era marcato dalla dottrina sofistica e socratica. I
sofisti (e in particolare Protagora) ritenevano che l’uomo fosse la misura di
tutte le cose e che la verità fosse soggettiva, non universale. Socrate invece,
induceva i giovani ateniesi a scoprire tramite il dialogo sé stessi e la verità
universale e valida per tutti. Per Socrate, il vero uomo era colui che usava il
proprio logos (capacità di riflettere usando la ragione per cercare la verità
ultima).
La concezione che emerge dal
testo qui analizzato si avvicina di più alla dottrina sofistica, poiché il bene
della persona che commette ingiustizia comporta il male della persona che la
subisce. Pertanto, il bene e il male non si escludono, ma coesistono. Il bene e
il male sono soggettivi ed è proprio questo che ci ricorda la sofistica. I
sofisti vedevano nel bene di una persona l’eventuale male di un’altra.
E.1.1 Il
presupposto da cui parte il ragionamento sulla giustizia (riga 1: “Si dice
che…commetterla”) non è accettabile, in quanto non è dimostrato, ma preso in
considerazione come vero.
E.1.2. Alle righe 1, 2, 9 e 18 incontriamo il
termine “bene”col significato i una realtà che piace e per questo è desiderata,
mentre alla riga 39 incontriamo la stessa parola (al plurale però) con un
significato più materiale, in quanto si riferisce agli oggetti altrui.
E.1.3. Le argomentazioni addotte a sostegno
della tesi non mi sembrano convincenti e quindi nemmeno valide. Esse si basano
soltanto su una convinzione non dimostrata( riga 1), su delle opinioni
soggettive ( l’uomo “vero” , se non commette ingiustizia, viene considerato
“pazzo” o addirittura “infelice” e “stupido”) e su un mito.
E.2. Nonostante io non ritenga valide le
argomentazioni, penso che la tesi di questo testo non sia molto lontana dalla
realtà in cui viviamo. Basti ricordare il fatto che la nostra società è
teoricamente fondata sulla giustizia, ma praticamente “infestata”
dall’ingiustizia. Nonostante ci sia una costituzione che stabilisce come validi
alcuni principi come l’uguaglianza e la libertà di pensiero, nella vita
quotidiana ci si può trovare in situazioni discriminatorie o a rischio di
essere giudicato condannato per il proprio pensiero.
Gige voleva il regno, il
potere. Oggi, avere il potere significa avere tanti soldi (non mi riferisco
esclusivamente al potere in senso politico) ed è per questo che molte persone
fanno di tutto per averli. Ed è vero che ai giorni nostri, con la giustizia non
si arriva ad avere soldi. In questo senso, l’ingiustizia è più vantaggiosa
della giustizia. E questo i politici lo sanno benissimo. È infatti per questo
motivo che preferiscono non spendere su questioni importanti come il caso
disperato di Napoli o la conservazione dell’ambiente naturale. Preferiscono
perdere la Terra per il petrolio e per l’oro. Ma come si fa ad avere il
petrolio senza la Terra?
E.3. Caro Platone,
Ho appena letto un testo
tratto dal secondo libro della “Repubblica”. Devo ammettere che sono rimasta
stupita. È stata la prima volta che ho trovato il termine bene associato
all’ingiustizia. Il bene, così come lo intendo io, è lontano da quella
condizione che tu definisci “la migliore”. Per me, il bene è relativo allo
stato d’animo pulito, puro e privo di ogni traccia di coscienza negativa. Da
ciò che ho letto, ho dedotto che il bene ossia trovarsi in uno stato di bene
significa avere e opprimere gli altri. Significa soprattutto avere. E se io
prendo questa parola in considerazione così come la intendi tu, allora sono
d’accordo. L’ingiustizia è per natura un bene, poiché ti porta ad avere. E sarò
d’accordo anche con la tua tesi, poiché l’ingiustizia sarebbe più vantaggiosa
della giustizia. Forse solo in piano materiale. E non forse, ma sicuramente in
piano materiale, poiché si tratta dell’avere. Avere un palazzo, dei sudditi,
magari qualche schiavo: è questo l’avere
a cui ti riferisci, vero? Arrivati a questo punto, io avrei una domanda da
farti: se io desidero un’amicizia vera, dovrei seguire la strada
dell’ingiustizia? Anche in questo caso l’ingiustizia sarebbe più vantaggiosa
della giustizia? Personalmente, penso di no. Penso che non esista quell’anello
magico che ti faccia avere un vero nemico.
L’esempio che hai
portato a sostegno delle tue argomentazioni mi è sembrato abbastanza vago. È
vero che Gige ha scelto di agire in quel modo, ma forse uno dei suoi compagni
avrebbe agito giustamente. Oppure in ognuno di loro si sarebbe trovato un Gige.
In ognuno di noi. La verità è che il tuo testo mi ha fatto riflettere e
confondere. Comunque sia, l’ingiustizia non comporta il bene che conosco io. E
in questo caso, non sarebbe nemmeno più vantaggiosa della giustizia. Sarebbe
solo una maschera di ciò che abbiamo in realtà, di ciò che siamo.
Girdescu Anamaria Gabriela,
classe 3^ A Linguistico
vai allo schema di analisi del testo filosofico
vai a Platone - L'anello di Gige
vai a lavori degli studenti