L’anello di Gige   (Platone,  Repubblica, libro II)

 

Si dice che il commettere ingiustizia sia per natura un bene, il subirla un male, e che il subirla sia un

male maggiore di quanto non sia un bene commetterla; di conseguenza, quando gli uomini

commettono ingiustizie reciproche e provano entrambe le condizioni, non potendo evitare l'una e  

scegliere l'altra sembra loro vantaggioso accordarsi per non commettere né subire ingiustizia. Di     

5    qui cominciarono a stabilire leggi e patti tra loro e a dare a ciò che viene imposto dalla legge il        

nome di legittimo e di giusto. Questa è l'origine e l'essenza della giustizia, che sta a metà tra la           

condizione migliore, quella di chi non paga il fio delle ingiustizie commesse, e la condizione

peggiore, quella di chi non può vendicarsi delle ingiustizie subite. Ma la giustizia, essendo in una

posizione intermedia tra questi due estremi, viene amata non come un bene, ma come un qualcosa

10    che è tenuto in conto per l'incapacità di commettere ingiustizia; chi infatti potesse agire così e fosse

un vero uomo, non si accorderebbe mai con qualcuno per non commettere o subire ingiustizia,

perché sarebbe pazzo.

Tale, Socrate, è dunque la natura e l'origine della giustizia, secondo l'opinione corrente».

«Ci renderemmo conto perfettamente che anche chi la pratica lo fa contro voglia, per l'impossibilità

15    di commettere ingiustizia, se immaginassimo una prova come questa: dare a ciascuno dei due, al

giusto e all'ingiusto, la facoltà di fare ciò che vuole, e poi seguirli osservando dove li condurrà il

loro desiderio. Allora coglieremmo sul fatto il giusto a battere la stessa strada dell'ingiusto per

spirito di soperchieria, cosa che ogni natura è portata a perseguire come un bene, mentre

la legge la devia a forza a onorare l'uguaglianza.

20    E la facoltà di cui parlo sarebbe tale soprattutto se avessero il potere che viene attribuito a Gige,

l'antenato di Creso re di Lidia. Si racconta che egli serviva come pastore l'allora sovrano di Lidia.

Un giorno, a causa delle forti piogge e di un terremoto, la terra si spaccò e si produsse una fenditura

nel luogo in cui teneva il gregge al pascolo. Gige si meravigliò al vederla e vi discese; qui, tra le

altre cose mirabili di cui si favoleggia, vide un cavallo di bronzo, cavo, con delle aperture. Egli vi si

25    affacciò e scorse là dentro un cadavere, che appariva più grande delle normali dimensioni di un

uomo; e senza avergli tolto nulla tranne un anello d'oro che portava a una mano, uscì fuori. Quando

ci fu la consueta riunione dei pastori per dare al re il rendiconto mensile sullo stato delle greggi, si

presentò anch'egli, con l'anello al dito; quindi, mentre era seduto in mezzo agli altri, girò per caso il

castone dell'anello verso di sé, all'interno della mano, e così divenne

30    invisibile ai compagni che gli sedevano accanto e che si misero a parlare di lui come se fosse andato

via. Egli ne rimase stupito e toccando di nuovo l'anello girò il castone verso l'esterno, e appena

l'ebbe girato ridiventò visibile. Riflettendo sulla cosa, volle verificare se l'anello aveva questo

potere, e in effetti gli accadeva di diventare invisibile quando girava il castone verso l'interno,

visibile quando lo girava verso l'esterno. Non appena si accorse di questo fece in modo di essere

35    incluso tra i messi personali del re; una volta raggiunto l'obiettivo divenne l'amante della sua sposa,

congiurò assieme a lei contro il re, lo uccise e in questo modo si impadronì del potere. Se dunque

esistessero due anelli di tal genere e uno se lo mettesse al dito l'uomo giusto, l'altro l'uomo ingiusto,

non ci sarebbe nessuno, a quel che sembra, così adamantino da persistere nella giustizia e avere il

coraggio di astenersi dai beni altrui senza neanche toccarli, potendo prendere impunemente dal

40    mercato ciò che vuole, entrare nelle case e congiungersi con chi vuole, uccidere e liberare di

prigione chi vuole, e fare tutte le altre cose che lo renderebbero tra gli uomini pari agli dèi. Agendo

così non farebbe niente di diverso dall'altro uomo, ma batterebbero entrambi la stessa via. E questa

può essere definita una prova decisiva del fatto che nessuno è giusto di sua volontà, ma per

costrizione, come se non ritenesse la giustizia un bene di per sé: ciascuno, là dove pensa di poter

45    commettere ingiustizia, la commette. Ogni uomo infatti crede che sul piano personale l'ingiustizia

sia molto più vantaggiosa della giustizia, e ha ragione a crederlo, come dirà chiunque voglia

difendere questa tesi; poiché se uno, venuto in possesso di un simile potere, non volesse commettere

ingiustizia alcuna e non toccasse i beni altrui, agli occhi di quanti lo venissero a sapere parrebbe

l'uomo più infelice e più stupido, ma in faccia agli altri lo loderebbero, ingannandosi a vicenda per

50    timore di subire ingiustizia. Così stanno le cose.

 

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