Silvia Schibuola       Classe IV A indirizzo Linguistico

anno scolastico 2005/06

 

Analisi del testo filosofico

 

 A            Introduzione critica all’autore e al testo

Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat, marchese di Condorcet, nasce a Ribemont nel 1743.  Amico di Turgot (controllore generale delle finanze), viene da questo nominato ispettore delle monete (1775). Il marchese era in buoni rapporti anche con Jean-Baptiste d’Alambert (il cui appoggio gli valse l’elezione “all’Academie françoise” nel 1782), con gli enciclopedisti in generale e in particolare con Voltaire. Fu uno dei pochi illuministi che vide il compiersi degli avvenimenti della Rivoluzione francese, alla quale partecipò attivamente, schierandosi con il partito girondino. La sua ostilità rispetto a Robespierre e al progetto della costituzione del 1793 gli valse la proscrizione. In seguito a un tentativo di fuga venne incarcerato. Morì misteriosamente in prigione nel 1794. Tra le opere più importanti sono degne di menzione, di Condorcet: “Elogio e pensieri di Pascal”, “Riflessioni sulla schiavitù dei negri”,  “Sull’ influenza della Rivoluzione d’America sull’Europa”, “Lettera di un borghese di New Haven a un cittadino della Virginia”, “Memorie sull’istruzione pubblica”, “Rapporto sull’istruzione pubblica” e infine “Quadro dei progressi dello spirito umano”. Il brano che verrà analizzato di seguito è tratto da “Riflessioni sulla schiavitù dei negri”. Pubblicato per la prima volta nel 1781, questo scritto rappresenta un’organica denuncia allo schiavismo argomentata in nome dei principi del diritto naturale e di ideali di libertà e di fraternità umana. Lo scrittore e matematico francese non si limita ad esporre i mali del commercio degli schiavi ma formula proposte pratiche per affrontare la fase di transizione verso una società di uguali. La prima edizione non sollecitò grandi reazioni, ristampato nel 1781 suscitò un importante dibattito e fu l’origine della corrente di opinione che portò all’abolizione della schiavitù da parte della Convenzione nel 1794.

 

B         Lettura ripetuta e operazioni su alcuni termini.

Questo scritto si presenta sotto il profilo del saggio, rappresentativo della maniera polemica di Condorcet. Per il filosofo francese, infatti, l’accusa contro i mali della società si accompagna sempre alla meticolosa e ragionata esposizione dei rimedi possibili. L’estratto preso in analisi presenta una serie di “termini sorprendenti “.

A partire dalla terza riga il termine “crimine” verrà spesso usato nel corso della trattazione in riferimento alla schiavitù. Inoltre verrà anche citato il termine “furto”. Un altro accoppiamento di termini che stupisce si può notare nella comparazione di “furto a mano armata” con “conquista”. Questi esempi dimostrano come Condorcet attuò una forte denuncia nei confronti di una delle “piaghe “ della sua epoca. Il filosofo rimarca più volte la condizione d’inferiorità degli schiavi definendoli con “infelici” o ancora “sventurati”. Mentre descrive i padroni come “ladri” oppure la schiavitù come  un “ veleno “ che ha contaminato i popoli dell’Africa. Questa serie di termini stupisce se si pensa che lo scritto è della fine del ‘700, e che l’opinione pubblica non era ancora del tutto “aperta mentalmente” nelle sue vedute. Anche se Voltaire aveva dato una notevole spinta innovativa con la famosa affermazione sulla tolleranza dei pensieri altrui. Condorcet aveva però preferito scrivere le sue riflessioni sotto pseudonimo in modo tale da non subire conseguenze.

 

C         scomposizione

C1.

Il brano può essere scomposto in una serie di dieci paragrafi. A partire dalla prima riga fino a “…disporre della propria persona.” Questo paragrafo rappresenta l’introduzione, con motivazioni annesse, al concetto di ingiustizia del fenomeno della schiavitù . Il secondo paragrafo inizia con : “O non esiste ..” e termina con “..il crimine resterebbe sempre un crimine.” In questo passo l’autore esprime il disprezzo per la falsa moralità della schiavitù anche in rapporto al fatto che le leggi la tolleri. Il terzo paragrafo può essere individuato da : “In seguito compareremo..” fino a “..ridurre l’uomo alla schiavitù”. All’interno di questo vengono definiti i rapporti tra l’azione di ridurre l’uomo in schiavitù e il furto. Da “Si dice, per giustificare..” fino a “…è ancora un’ingiuria”, dove Condorcet attribuisce inverosimilità alla tesi , secondo la quale , se non fossero stati ridotti in schiavitù i prigionieri sarebbero comunque stati uccisi.

Il sesto paragrafo esordisce con :” Supponendo che..” e termina con : “..di obbligarlo ad obbedirgli”. Al suo interno l’autore condanna ancora una volta la schiavitù giustificata dal fatto che si salvi la vita allo schiavo. Infatti sostiene che non ci si può appropriare dei diritti di una persona, potrebbe considerare sopportabile solo l’appropriazione dei suoi beni o del suo lavoro. Il settimo paragrafo inizia con :”La discolpa adottata..” prosegue fino a : “…parlare di umanità” ;qui si analizzano le conseguenze portate dalla schiavitù in Africa che hanno fatto nascere numerosi conflitti interni. L’ottavo paragrafo va da :”Quand’anche…”fino a “…il delitto è lo stesso.” dove Condorcet denuncia sia coloro che trattengono l’uomo in schiavitù sia i loro acquirenti. Il nono paragrafo inizia con :”Infine, questa discolpa…” e termina con “…un crimine?”, al suo interno l’autore continua la polemica nei confronti di chi tollera la schiavitù nei confronti di uomini nati nella proprietà di un ipotetico padrone.

Infine il decimo paragrafo da :”Neanche la schiavitù…” fino a “…si eserciti una giustizia così esatta”, conclude con altre riflessioni sull’ingiustizia della schiavitù di criminali, condannati legalmente. Le parole chiave risultano essere gli stessi “termini sorprendenti”, poiché evidenziano le tesi dell’autore, suscitando sorpresa in chi legge facendo riferimento all’epoca in cui viene pubblicato il testo.

 

C2.

La tesi centrale viene presentata subito nell’esordio cioè l’ingiustizia della schiavitù, che non può essere che comparata a un crimine peggiore di un furto. Condorcet porta numerose argomentazioni a sostegno. La schiavitù in effetti priverebbe lo schiavo di ogni proprietà mobiliare o fondiaria, della facoltà  di acquistarne, della proprietà del proprio tempo , delle proprie forze , di tutto quello che la natura gli ha dato per conservare la propria vita o soddisfare i suoi bisogni. Inoltre, come più grave privazione , Condorcet definisce il fatto di togliere allo schiavo il diritto di disporre della propria persona. Nei confronti delle ragioni che giustificano la schiavitù, l’autore descrive come inverosimili le argomentazioni che considerano la schiavitù come atto umanitario , che salva gli schiavi africani da una morte certa. Un’altra tesi a sostegno dell’affermazione di Condorcet è il fatto che un uomo può avere il diritto di obbligarne un altro a lavorare per lui ma non di obbligarlo a obbedirgli. Inoltre la schiavitù diviene dannosa nel momento in cui provoca conflitti interni allo Stato africano, ad esempio un padre che consegna il proprio figlio. Condorcet non ammette nemmeno la schiavitù di uomini nati in una proprietà di un ipotetico padrone, perché anche in questo caso l’azione umanitaria di crescere un bambino non giustifica la schiavitù.

Inoltre perché i bambini hanno avuto bisogno di qualcuno che li cresca?

Perché il padrone ha rapito ai loro genitori sia la libertà sia la possibilità di accudire il bambino. L’autore utilizza numerose similitudini, sempre a sostegno della sua tesi, e in ognuna compara la schiavitù a un furto. Ad esempio :”..azione di un uomo che, dopo aver salvato uno sventurato perseguitato dagli assassini, lo derubasse”.

 

D         storicizzazione del testo

Condorcet sente l’esigenza di una denuncia ei confronti della schiavitù anche perché influenzato dai valori illuministici della sua epoca di fratellanza e umanitarismo.

La tratta dei negri, ritenuta fino ad allora una pratica normale affronta il dibattito pubblico e la condanna di Montesquieu, di Voltaire e di tutti quei pensatori conviti di una “unità del genere umano”. La posizione di Condocet prosegue su questa via aggiungendo qualcosa di diverso. Non si limita ad una denuncia in nome dei diritti universali, ma propone misure pratiche da attuare in tempi ragionevoli. In questo senso è debitore della filosofia contemporanea ma si colloca per certi versi in una posizione autonoma, proponendo un’argomentazione che si basa su innovazione introdotta progressivamente.

 

E         analisi teoretica e attualizzazione

Condorcet offre tra le pagine del suo scritto una lezione di civiltà che difficilmente si può ignorare. Di fronte alle nuove schiavitù, sfruttamento degli immigrati, dei minori, delle donne, ci richiama ad una condanna decisa, senza compromessi, ad un impegno concreto, civile e politico che cancelli ogni ingiustizia.

Per questo nonostante i tre secoli che ci dividono dall’autore, le sue teorie risultano tutt’ora attuali e in grado di suscitare riflessioni costruttive.

 

Silvia Schibuola       Classe IV A indirizzo Linguistico

 

 

 

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